Qual è la performance clinica, cioè la concreta utilità, del test Endometrial-Receptivity-Array (ERA) tra le donne con fallimento ripetuto dell’impianto (RIF) sottoposte a trasferimento di blastocisti euploidi singole?
“È il dubbio che tante pazienti ci sottopongono e su cui abbiamo voluto indagare al meglio per razionalizzare l’uso di strumenti complementari al trattamento di PMA”, spiega Alberto Vaiarelli, responsabile medico-scientifico del centro Genera Roma e autore di un nuovo studio su questo tema presentato al recente congresso Eshre di Copenhagen.
Che cosa studia l’ERA test?
Il test ERA studia la ricettività endometriale, quindi indica il periodo ottimale di ciascuna donna ai fini del trasferimento embrionale.
L’ERA-test, in particolare, valuta l’espressione di 238 geni da un campione di tessuto endometriale ottenuto tramite biopsia e mira a delineare la specifica e più adatta ‘finestra di impianto’ di ciascun paziente per personalizzare il momento in cui effettuare il transfer. I dati su questo test sono controversi, e pochi studi hanno esaminato le prestazioni del test ERA nel contesto dei trasferimenti euploidi e/o tra i pazienti con RIF.
Cosa è emerso dallo studio del gruppo GENERA?
“Dal nostro studio – spiega Vaiarelli – è emerso che il test ERA ha rivelato un tasso più elevato di ‘endometrio non ricettivo’ tra le pazienti RIF, cioè con ripetuti fallimenti di impianto alle spalle. Tuttavia, il tasso di nati vivi per primo trasferimento euploide era indipendente dall’adozione e dalla risposta del test ERA. Dunque, i valori predittivi positivi e negativi sull’impianto sono in gran parte mancanti e il potere clinico di questo test come strumento terapeutico nelle donne con RIF è discutibile”.